Fin quando lo possiamo fare, vi diciamo buon Natale

Il numero di dicembre del 1938 della nostra rivista fu sottoposto a sequestro da parte del governo fascista per un trafiletto di poche righe intitolato “manie”, nel quale si guardava con sconcerto a una decisione del governo tedesco:
«In Germania è stato stabilito che i tedeschi ariani potranno disfarsi dei nomi di origine ebraica e assumerne dei nuovi. Fra i nomi ripudiati vi è quello di Maria, Giuseppe, Giovanni, Elisabetta ecc. Come desidereremmo che nella laboriosa terra alemanna si fosse un po’ più positivi e si badasse a cose più serie e di maggiore importanza».
Per queste parole il direttore fu redarguito dal prefetto, tutte le copie della rivista furono sequestrate e distrutte e si dovettero ristampare eliminando il trafiletto ritenuto politicamente scorretto.
Fortunatamente, una copia della pubblicazione incriminata si è salvata e viene custodita gelosamente nel nostro archivio, quale testimonianza di quella limitazione della libertà di pensiero e di espressione che speravamo non si verificasse mai più nella storia, soprattutto di quella europea. E invece la storia si ripete, proprio in quell’Europa che, dopo aver sperimentato l’oppressione dei totalitarismi, si sarebbe dovuta rifondare proprio sulla libertà di pensiero e di parola.
Dopo aver scampato l’approvazione del ddl Zan, che avrebbe compromesso la libertà religiosa e aperto la strada a derive oggi imprevedibili, ecco che nei giorni scorsi è stato reso noto un documento interno della Commissione Europea intitolato #UnionOfEquality nel quale ci sono indicazioni precise sui criteri che i dipendenti della Commissione devono adottare nella comunicazione sia esterna che interna. Viene bandita la parola Natale con tanto di esempio: meglio evitare «il periodo natalizio» e dire «il periodo delle vacanze». È raccomandato anche usare nomi generici anziché «nomi cristiani», pertanto, invece di dire «Maria e Giovanni sono una coppia internazionale», bisogna dire «Malika e Giulio sono una coppia internazionale».
Perseguendo una “comunicazione inclusiva” si ottiene, invece, un risultato grottesco, arrivando persino a negare che il Natale si chiami Natale.
Ma la Commissione non si ferma qui. Viene anche vietato di utilizzare nomi di genere come «operai o poliziotti» o usare il pronome maschile come pronome predefinito, è vietato organizzare discussioni con un solo genere rappresentato (solo uomini o solo donne), poi è vietato utilizzare «Miss o Mrs» a meno che non sia il destinatario della comunicazione a esplicitarlo. E ancora: non si può iniziare una conferenza rivolgendosi al pubblico con la consueta espressione «Signori e signore» ma occorre utilizzare la formula neutra «cari colleghi».
L’impressione è che, con la scusa di veicolare una comunicazione inclusiva, l’obiettivo immediato sia quello di cancellare alcune feste cristiane e la differenza tra genere maschile e femminile, mentre quello a lungo termine sia quello di cancellare ogni traccia delle radici giudaico-cristiane sulle quali l’Europa dovrebbe fondarsi.
Giovanni Paolo II nell’Angelus del 20 giugno 2004, un anno prima di morire, riferendosi proprio all’Europa e profetizzando la deriva morale e culturale che l’avrebbe caratterizzata disse: «Non si tagliano le radici dalle quali si è nati». Infatti, in questi ultimi anni, i diktat del politicamente corretto svelano, con risultati a volte farseschi come in questo caso, la deriva verso il politicamente corretto che, non di rado, è l’anticamera del pensiero unico.
Probabilmente, anche la nostra rivista prima o poi sarà sottoposta ad altri sequestri e censure, come lo fu nel 1938, magari questa volta perché non avremo usato l’asterisco (*) o lo shwa (ǝ).
Nel frattempo, fin quando lo possiamo fare, vi diciamo BUON NATALE.

Fin quando lo possiamo fare, vi diciamo buon Nataleultima modifica: 2021-12-08T14:03:53+01:00da ruggierodoronzo
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