Il romanzo della disfida

IL ROMANZO DELLA DISFIDA - Copertina_2Tradurre, tradire e trasmettere hanno la stessa origine semantica che riguarda il trasferimento o la consegna di qualcosa. È vero, come spesso si dice, che chi traduce tradisce in qualche modo l’autore, ma è anche vero che chi traduce trasmette, perché permette ad altri, nel presente e nel futuro, di poter accedere a dei contenuti di cui altrimenti non avrebbero potuto usufruire.
Questo è lo spirito con il quale mi sono lanciato in un’operazione delicata e rischiosa, eppure affascinante e avvincente qual è il tentativo di tradurre in italiano corrente un classico della nostra letteratura ottocentesca: “Ettore Fieramosca o La disfida di Barletta” di Massimo d’Azeglio.
L’occasione mi è stata data dal compimento di 520 anni dallo storico evento (1503-2023) e di 190 anni (1833-2023) dalla prima pubblicazione del romanzo.
Mi sono reso conto che la “disfida di Barletta” è qualcosa di cui molti hanno sentito parlare, ma pochissimi ne hanno letto il romanzo. Nella fascia giovanile, poi, quel pochissimi si riduce quasi a zero.
Tutto ciò non è dovuto solo alla disaffezione generale che in Italia riguarda la lettura, ma anche alla difficoltà legata alla lingua nella quale d’Azeglio ha scritto il suo racconto, che in 200 anni è notevolmente cambiata; così quando si legge l’opera nella versione originale occorre fare un certo sforzo per tradurre istantaneamente la sintassi di alcune frasi e molti dei termini usati dall’autore.
Assumendomi l’incarico di svolgere questo lavoro al posto del lettore spero che la sua lettura risulti più scorrevole e gustosa. Ne potranno così beneficiare tutte le categorie di lettori, dai più assidui ai più pigri, ma soprattutto i giovani avranno a disposizione un testo avvincente e di facile comprensione.
La riproposizione di questo romanzo storico in lingua corrente non ha esattamente lo stesso scopo che si prefiggeva Massimo d’Azeglio, cioè di contribuire a formare una coscienza nazionale attraverso la rievocazione di episodi che esaltavano l’orgoglio italiano.
Infatti tale scopo, per quanto utile sotto certi aspetti, potrebbe risultare anacronistico sotto altri. Una maggiore consapevolezza delle proprie radici potrebbe certamente stimolare lo sviluppo di quelle potenzialità umane, civiche, intellettuali e solidali di cui l’Italia ha attualmente grande bisogno. Sarebbe anacronistico, invece, se la ricerca di questo sviluppo portasse a un ripiegamento campanilistico che non tenga conto della interdipendenza dei popoli e delle nazioni, dell’urgenza di perseguire l’unità ai più alti livelli sociali e istituzionali e, soprattutto, della necessità di ricercare e promuovere la pace.
E questo è un punto che stava molto a cuore anche allo stesso d’Azeglio, che, a conclusione della sua opera, dichiara di ritenere «sciagurate quelle contese dove gli uomini delle diverse nazioni si rinfacciano a vicenda sbagli e delitti, spesso aiutandosi con menzogne. All’opposto riteniamo ammirevole chi vuole il bene dell’umanità e lavora con quella legge d’amore e di giustizia proclamata dal Vangelo per spegnere quelle scintille di odio che causano lunghe e micidiali guerre».
Il romanzo esalta valori eterni come la lealtà, la fedeltà, il rispetto dell’avversario, l’amore, l’amicizia e allo stesso tempo manifesta quelle che sono le miserie umane legate al disprezzo degli altri, all’avidità, all’odio, alla violenza, alla superbia. In questo senso è una breve indagine sui sentimenti e sulla psicologia umana, al di là degli usi e dei costumi dell’epoca che vuole rappresentare. Dunque, è un’opera ancora utile da conoscere, attuale per certi aspetti, gradevole da leggere e importante da tramandare alle future generazioni.

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Il romanzo della disfidaultima modifica: 2022-11-23T09:45:38+01:00da ruggierodoronzo
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