Il calcio torni ad essere un gioco da ragazzi

La mancata qualificazione della Nazionale Italiana di calcio alla fase finale del Mondiale 2018 è stata un vero choc per tutta la nazione. Non solo i tifosi di calcio, ma anche i giornalisti, i politici e gli uomini di cultura si sono interrogati sulle cause di una tale figuraccia internazionale. A molti è sembrato subito evidente che l’eliminazione non è stata solo questione di sfortuna o di una squadra assemblata male e che le cause siano da ricercare nella nostra società più che sul terreno di gioco. Quasi tutte le analisi apparse sui giornali attribuiscono l’eliminazione ad alcuni atteggiamenti diffusi nella nostra società, in particolare: l’incompetenza dei vertici delle federazioni sportive e dei poteri politici che le organizzano; la sostituzione dei valori sportivi con quelli meramente economici; le scuole calcio per ragazzi. Credo che i primi due problemi siano condivisi da una grande fetta di italiani e non abbiano bisogno di commento, anche perché difficilmente il comune cittadino può fare qualcosa per risolverli. Il terzo problema indicato dagli analisti è, invece, molto interessante perché stigmatizza un atteggiamento delle giovani famiglie italiane e dei loro ragazzi. In sostanza molti analisti attribuiscono il brutto gioco espresso dalla Nazionale all’approccio che le nuove generazioni hanno con il calcio. Fino a qualche decennio fa i ragazzi iniziavano a giocare a calcio per strada, nelle ville comunali, negli oratori parrocchiali e per loro il calcio era davvero un gioco. Nella libertà e nella spensieratezza di quelle partitelle fatte con porte improvvisate, palloni di plastica (qualcuno ricorderà il “Super Santos” o il “Tango”) e qualche vetro rotto, i ragazzi esprimevano il loro talento naturale, improvvisavano dribbling, “scartavano” l’avversario, segnavano a pallonetto. Nessun genitore era lì con gli occhi fissi a giudicare i progressi del figlio. Poi, secondo una selezione naturale e con lo stimolo degli stessi compagni qualcuno andava a fare il provino nella squadra del paese e lì il suo talento veniva raffinato e inserito in una dinamica di squadra. Così la tecnica appresa dagli allenatori serviva ad esaltare il talento e non a sostituirlo. Il peso delle aspettative di amici e familiari non era troppo gravoso perché cresceva in modo proporzionale all’eventuale passaggio del ragazzo in squadre e campionati più prestigiosi. Questo era il modo di giocare al calcio che ha prodotto grandi campioni. Oggi, purtroppo, la situazione è molto cambiata. Sin da piccoli i ragazzi vengono iscritti alla scuola calcio, che sembra essere la tomba del talento. Non si gioca più per il puro divertimento, ma perché i genitori hanno pagato una retta mensile. Spesso non viene data al ragazzo la libertà di esprimere il proprio estro perché occorre imparare la tecnica, la posizione, il ruolo nella squadra. Ma la cosa più deleteria è l’aspettativa di genitori che, avendo pagato, vogliono vedere dei risultati concreti e seguono i figli in quasi tutte le partite, arrivando persino a litigare tra di loro se il figlio di uno non passa la palla al figlio dell’altro. In quest’atteggiamento sociale si nasconderebbe, secondo molti analisti, la causa del pessimo spettacolo offerto dalla nostra nazionale di calcio. I giocatori italiani non sarebbero più in grado di esprimere fantasia, estro, spettacolo e questo spiegherebbe anche la necessità di inserire nei nostri campionati numerosi giocatori stranieri provenienti da quei paesi dove il calcio è ancora un gioco “da ragazzi” e non una professione per “pulcini” allevati nelle scuole calcio. Mi sento di dire che forse questa volta gli analisti ci hanno visto giusto.

Il calcio torni ad essere un gioco da ragazziultima modifica: 2017-11-08T00:08:04+01:00da ruggierodoronzo
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