Separazione tra Stato e Chiesa

Articolo pubblicato nella Rubrica “CONFRONTI” de “L’OSSERVATORIO” a Gennaio 2008

Domanda del mese: Gesù ha detto: date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. Con questa affermazione egli ha voluto che la religione fosse estranea alla politica e la Chiesa fosse separata dallo Stato. Perché, allora, la Chiesa si intromette in modo così forte nella vita e nella politica italiana?

Molte persone citano questa famosa frase di Gesù per affermare che, lo stesso Cristo, ha rivendicato la separazione tra Stato e Chiesa. Tuttavia, si può arrivare ad attribuire un tale significato alle parole di Gesù solo estrapolando la frase dal contesto in cui si trova, ma questo non è molto corretto. La ragione per cui Cristo ha usato quell’espressione è sufficientemente chiara: coloro che avversavano Gesù volevano coglierlo in fallo, e hanno escogitato un modo sottile per provarci. Al tempo di Gesù i romani occupavano la Palestina ed esercitavano il dominio in quella regione, prevalentemente attraverso la presenza militare e l’imposizione di onerose tasse. Mentre alcuni ebrei si erano ben integrati e collaboravano con i conquistatori, la maggioranza delle persone mal li sopportava. C’erano dei gruppi rivoluzionari, come gli zeloti, che combattevano i romani con le armi. Si stava però faceva strada sempre più l’idea che una rivolta fiscale, il non pagare le tasse, avrebbe spinto i romani ad andarsene. Gli avversari di Gesù gli pongono questa domanda: è giusto o no pagare le tasse a Cesare, ovvero, a Roma? In altri termini: Dio vuole che noi paghiamo le tasse o vuole che ci ribelliamo per poterci liberare da Roma, che è la causa della nostra infelicità? L’intento non era quello di ricevere un’illuminazione o un aiuto da Gesù, ma quello di denunciarlo e farlo condannare. Se Gesù avesse risposto che non bisognava pagare, lo avrebbero subito denunciato per sobillazione ai romani, i quali lo avrebbero subito arrestato. Se Gesù, invece, avesse risposto che bisognava pagare, lo avrebbero denunciato al popolo come un collaborazionista, un peccatore pubblico o pubblicano, un traditore della patria e della religione, per farlo disprezzare o addirittura uccidere. Ma Gesù usa un altro registro. Dice chiaramente che la causa della loro infelicità non era Roma come struttura pagana e di potere, ma il fatto che Roma toglieva loro i soldi a cui erano molto attaccati. Davanti a Gesù fallisce subito il tentativo di mascherare l’attaccamento al denaro attraverso la scusa del culto a Dio. Egli dice: date a Cesare quello che è di Cesare. Cosa vuole Cesare, il denaro? Che se lo prenda pure. Il culto a Dio, invece, è un’altra cosa. Date a Dio quello che è di Dio, ovvero fidatevi di lui, permettetegli di fare quello che è pronto a fare: essere un padre che provvede ai suoi figli, che non gli fa mancare niente di necessario. Per questo credo che la famosa frase di Gesù su Dio e Cesare, non può essere usata per sostenere che la Chiesa non si deve intromettere nelle cose dello Stato.

Sono certo che Gesù si sia intromesso nelle cose “politiche” del suo tempo, ma non per schierarsi con l’uno o con l’altro partito, con l’una o con l’altra opinione. Neanche ha scelto una posizione mediana, conciliativa, che accontentasse un po’ tutti. Egli è andato sempre oltre o, per meglio dire, è andato dentro, diritto al cuore. Ha indicato che la causa della infelicità dell’uomo non è questo o quel governo, questa o quella forma organizzativa, quella o quell’altra forma di distribuzione della ricchezza. Un giorno Gesù disse ai discepoli che litigavano per chi di loro dovesse comandare: i capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere e si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire. (Cfr Mt 20,24-28 e Mc 10,41-45 e Lc 22,24-27).

Ancora, davanti a Pilato che gli chiedeva se fosse re, Gesù rispose: il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo i miei servitori avrebbero combattuto (come fanno normalmente gli uomini) perché non fossi consegnato (Gv 18, 36).

Questa dovrebbe essere la vera separazione tra Chiesa e Stato: lo stile. Il problema non è se la Chiesa deve dire o non deve dire il suo pensiero su determinati argomenti, ma che ogni intervento abbia uno stile, una finalità e un messaggio diverso da quelli degli altri. Lo stile cristiano è quello del servizio, non del combattimento. La finalità non è quella di conquistare le masse, conquistare voti o consensi, ma di fare all’uomo una rivelazione che altrimenti non potrebbero avere, in altre parole, servirlo. Questa rivelazione è il messaggio, politico in senso lato, che non riguarda la soluzione di questo o quell’altro singolo problema contingente dell’uomo ma riguarda la soluzione totale e definitiva del problema principale dell’uomo: sperimentare che qualcuno lo ama e gli permette di essere interiormente pacificato e libero dalla paura.

Permettimi, infine, di esprimere il mio pensiero su quello che alcuni considerano un’ingerenza della Chiesa istituzione nella politica italiana. Io credo che, da parte dei laici cattolici, ci sia la tendenza a vivere la religione come un fatto prevalentemente privato, sottovalutando così l’aspetto pubblico. In generale si è più orientati al volontariato e all’adesione ad iniziative particolari in favore della pace, della salvaguardia del creato e della giustizia sociale. Si è meno disposti ad un impegno politico che si caratterizzi anche per l’espressione della propria fede e della conseguente visione antropologica, del mondo e della storia. Tutto questo è ancora più evidente nelle nuove generazioni che, a prescindere dall’orientamento politico, si caratterizzano per l’uso della rete telematica e per l’adesione a movimenti d’azione finalizzati a singole iniziative (vedi movimento No-global). La mancanza di smalto e d’attrattiva, dei partiti tradizionali fa il resto. Io vedo in tutto questo la causa del fatto che i vescovi italiani debbano intervenire pubblicamente, più di quanto sarebbe necessario se i cattolici impegnati in politica fossero più numerosi e disposti a far prevalere la logica della coscienza su quella del gioco politico.


Fra Ruggiero Doronzo

Separazione tra Stato e Chiesaultima modifica: 2009-12-30T14:42:00+01:00da ruggierodoronzo
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