Prefazione di Carlo Formenti

 

Il saggio che vi ritrovate in mano [Chiesa e mezzi di comunicazione: un rapporto da approfondire] riprende e approfondisce gli argomenti della tesi con cui Ruggiero Doronzo, frate cappuccino nonché studioso delle relazioni fra tecnologie della comunicazione e cultura contemporanea, ha conseguito la laurea triennale in Scienze della Comunicazione all’Università del Salento. Avendo seguito da vicino – nella mia funzione di relatore – lo sviluppo del suo lavoro, ho ritenuto opportuno sollecitare Doronzo a rimettere mano alla sua prova accademica per darle forma di libro. Se ho insistito in tal senso, non è solo perché ho subito capito di trovarmi di fronte a uno di quei casi (purtroppo sempre meno frequenti) in cui un docente ha l’opportunità di trarre insegnamenti importanti dall’operato di un proprio allievo, ma anche e soprattutto perché il tema in questione – il rapporto fra Chiesa e mezzi di comunicazione – non ha, a mio modesto avviso, ottenuto tutta l’attenzione che meriterebbe da parte degli esperti di mediologia.

Osservando l’atteggiamento della Chiesa nei confronti dei moderni mezzi di comunicazione – e in particolare dei cosiddetti “nuovi media”, come i Personal Computer, Internet e le altre tecnologie scaturite dalla “rivoluzione digitale” -, mi è spesso capitato di interrogarmi, da studioso laico di formazione neomarxista, in merito alle ragioni del sostanziale “ottimismo” che contraddistingue il discorso delle gerarchie ecclesiastiche sul tema. Perché, mi chiedevo, la Chiesa assume posizioni duramente critiche nei confronti di una serie di innovazioni tecnologiche che riguardano il campo biomedico (basti pensare alla fecondazione assistita, alla clonazione, alla manipolazione genetica, all’uso delle cellule staminali, ecc), mentre tace sugli effetti – potenzialmente non meno sconvolgenti – che certe tecnologie della comunicazione potrebbero avere nei confronti dell’essenza stessa dell’umano (non a caso, l’ala più “entusiasta” degli studiosi dell’innovazione tecnologica in questo settore, parla esplicitamente dell’imminente avvento di un soggetto “postumano”)?

Ricostruendo la storia degli oltre settant’anni di magistero ecclesiale sui mezzi di comunicazione che separano l’enciclica Vigilanti cura, promulgata nel 1936 da papa Pio XI, dalle più recenti prese di posizione di papa Benedetto XVI sull’argomento, Doronzo suggerisce alcune risposte a tale interrogativo che mi sono parse particolarmente convincenti, e che provo a sintetizzare qui di seguito: la Chiesa ritiene 1) che i mezzi di comunicazione siano intrinsecamente buoni (al punto da definirli a più riprese “doni di Dio”), 2) che siano sostanzialmente “neutrali”, nel senso che la natura positiva o negativa dei loro effetti dipenda esclusivamente dalle intenzioni dei soggetti umani che li utilizzano.

Ancora più significative di questi due “assunti dogmatici” sono, tuttavia, le motivazioni che, secondo Doronzo, vi si nascondono dietro. Dopo essersi impegnata in un duello secolare con la tecnica e i suoi effetti sulla civilizzazione umana, argomenta Doronzo, la Chiesa si trova oggi di fronte alla necessità di riconciliarsi con quegli strumenti tecnologici – i moderni media – che, da un lato, le offrono l’imperdibile opportunità di trasmettere il proprio messaggio all’intera umanità, dall’altro, ove trascurati e abbandonati nelle mani del “nemico” (cioè di una cultura anticristiana o semplicemente areligiosa) potrebbero rappresentare una minaccia alla sua stessa sopravvivenza. In altre parole, le tecnologie di comunicazione devono essere “buone” per definizione, pena l’impossibilità di farvi ricorso. Il principio di neutralità rappresenta a sua volta un irrinunciabile baluardo contro il punto di vista “determinista” tanto dei teorici di ispirazione marxista o neo marxista, quanto dei mediologi che si rifanno alla lezione di McLuhan (ma l’elenco potrebbe essere allargato a molti altri approcci – sociologici, psicologici e antropologici – alla problematica dei media): mentre questi ultimi danno infatti per scontato che le “protesi” tecnologiche (e le potenze economiche e socioculturali che in esse si “incarnano”) siano in grado di trasformare in profondità la natura stessa dell’uomo, la Chiesa deve necessariamente far salvo il principio del libero arbitrio di un soggetto umano che è, in ultima istanza, il solo responsabile dell’uso buono o cattivo degli strumenti che egli stesso ha creato. Da questa visione, aggiunge Doronzo, deriva infine il tono moralizzante e pedagogico (la priorità accordata ai contenuti rispetto alle forme della comunicazione, nonché la necessità di “educare” tanto gli operatori quanto i fruitori della comunicazione) del discorso ecclesiale sui media.

Secondo Doronzo, tuttavia, nella Chiesa starebbe sia pure lentamente e timidamente maturando la consapevolezza della necessità di avviare una seria riflessione sulla “questione antropologica” – una evoluzione culturale provocata dall’avvento di Internet e dei nuovi media, i quali, da un lato, stanno rivoluzionando il sistema dei media, nella misura in cui erodono i confini fra comunicatori professionali e produttori/consumatori di conoscenze e informazioni (basti pensare al fenomeno dei blogger), fra sfera pubblica e sfera privata (particolarmente evidente nel caso dei social network), mentre rendono sempre più orizzontali e incontrollabili i flussi di comunicazione; dall’altro lato, esercitano un chiaro impatto sulle forme stesse della soggettività umana (la Net Generation esibisce stili di relazione, linguaggi, valori, comportamenti e perfino modalità di pensare e immaginare radicalmente differenti da quelli delle generazioni precedenti). L’auspicio di Doronzo è che questa lenta evoluzione possa condurre a un progressivo “indebolimento” degli assunti dogmatici relativi alla bontà/neutralità dei media, in modo che la Chiesa, pur senza rinunciare ai propri obiettivi pastorali, impari a meglio fronteggiare le sfide che la attendono su questo fronte.

Dovendo in questa sede svolgere la parte del diavolo, mi è d’obbligo concludere con una piccola provocazione: in che misura la Chiesa può integrare la questione antropologica nel proprio magistero senza esporsi alla minaccia della secolarizzazione? La vera sfida che la tecnica (e le tecniche della comunicazione più delle altre) lanciano alla Chiesa coincide infatti con la sua capacità di integrare nella propria stessa logica – di rendere immanente alla sua stessa essenza – una promessa escatologica “alternativa” (perdipiù di straordinaria potenza materiale e simbolica) a quella religiosa. Nell’anno accademico in cui Doronzo ha frequentato il mio corso di Teoria e tecnica dei nuovi media, avevo inserito nel programma una riflessione sulla “gnosi tecnologica” implicita nella mediologia di McLuhan e nella teologia evoluzionista di Teilhard de Chardin, una prospettiva che rivive oggi nelle opere di due filosofi dei media come Pierre Lévy e Derrick De Kerckhove. I concetti di “villaggio globale”, “noosfera”, “intelligenza collettiva” (o “connettiva”) sviluppati da questi autori rappresentano un veicolo di auto divinizzazione dell’uomo (o meglio, della mente collettiva della specie umana incarnata nelle sue protesi tecniche) che non credo potrà mai convivere con l’idea dei media in quanto strumento.

Lecce 9 giugno 2009

Carlo Formenti

 

Prefazione di Carlo Formentiultima modifica: 2010-04-15T22:00:00+02:00da ruggierodoronzo
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